E’ stata la Corte Costituzionale ad abrogare per 2 volte i provvedimenti legislativi sull’immunità penale ai gestori dell’ILVA

Facciamo un po’ di storia sulla ingarbugliata vicenda dell’Ilva di Taranto.
La Magistratura tarantina aveva sequestrato lo stabilimento ILVA di Taranto nel 2012.
Perciò il governo aveva voluto assicurare una protezione legale ai commissari che avrebbero gestito la fabbrica per conto del governo approvando la legge 24-12-2012 n. 231.
La Magistratura tarantina impugnò il provvedimento e si rivolse al giudice delle leggi cioè la Corte costituzionale, la quale dichiarò incostituzionale il provvedimento di cui sopra con la sentenza n. 85 del 9-5- 2013.
Successivamente il governo fece approvare dal Parlamento un altro provvedimento legislativo a favore dei gestori dello stabilimento siderurgico, il d.l. n. 92 del 4-7-2015, il quale fu impugnato dalla magistratura tarantina così come era stato impugnato quello precedente approvato dal parlamento italiano.
La Corte Costituzionale anche questa volta ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 3 del d.l. n. 92 del 4-7-2015 con la sentenza n. 58 del 23-3-2018.
La Corte Costituzionale afferma che il legislatore ha finito col privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (art, 2 e 32 della Costituzione) cui deve ritenersi inscindibile connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (art. 4 e 35 della Costituzione).
Perciò, quando è stato firmato il 6-9-2018 il contratto tra la multinazionale Arcelor Mittal con il governo italiano la norma sull’immunità penale non poteva essere inserita nel contratto in quanto incostituzionale e se per caso fosse stata inserita avrebbe avuto un valore nullo.
Se oggi il governo italiano decidesse di introdurre una nuova disposizione a favore dell’immunità penale a favore dei gestori dello stabilimento di Taranto servirebbe soltanto a guadagnare un po’ di tempo perché la Corte Costituzionale ha già messo in evidenza che il diritto alla vita viene prima di tutti gli altri diritti anche su quello del lavoro. Poi ci troveremmo punto e a capo perché la Corte costituzionale non può che sentenziare che in conformità delle sentenze di cui sopra.
A parere del sottoscritto se si vogliono salvare i posti di lavoro a Taranto lo può fare solo lo Stato italiano. Non esiste nessun gruppo industriale in grado di bonificare il sito di Taranto perché occorrerebbe abolire il carbone e sostituirlo con il metano oppure con l’energia elettrica da fonti alternative come l’eolico e il fotovoltaico che hanno costi più alti rispetto al carbone. In tal caso l’Europa dovrebbe introdurre dei dazi sull’acciaio prodotto con il carbone come in India oppure in Cina da cui viene importato in Europa.
La partita si gioca soprattutto nel Parlamento europeo. Se l’Europa non interviene subito il mercato è falsato a vantaggio di coloro che sfruttano energia a basso costo e più inquinante. E’ evidente che è stato un errore madornale mettere all’asta la gestione dello stabilimento di Taranto sapendo che i nuovi inquilini avrebbero fatto di tutto per chiuderlo in quanto concorrenti.

Veglie, 17-11-2019
dr. Pietro CALCAGNILE

admin – Dom, 17/11/2019 – 00:32